9Vita in Breve
Aveva ragione lui, a sostenere che i santi, quando passano da vivi o da morti, fanno accorrere le folle. Lo si è visto nel 1954, quando una folla oceanica accorse per fare ala al passaggio del suo feretro da Venegono Inferiore, dove era morto, a Milano dove si svolsero gli imponenti funerali, e lo si vede ancora oggi, con l’afflusso di turisti, curiosi e fedeli nel Duomo di Milano, di fronte all’urna che custodisce i suoi resti mortali.
Non è milanese e neppure lombardo: figlio del caposarto degli zuavi pontifici, nasce a Roma nel 1880. Orfano di papà a 11 anni, entra nel convento di San Paolo fuori le mura grazie ad un benefattore, che ammira la sua intelligenza e la sua pietà.
Monaco esemplare, viene ordinato sacerdote a 24 anni e subito gli vengono affidati incarichi delicati e gravosi. A 28 anni è già maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione, infine abate di San Paolo fuori le mura, nel 1929 Pio XI lo nomina arcivescovo di Milano e cardinale.
Inizia il suo ministero milanese prendendo come modello il suo più illustre predecessore, Carlo Borromeo, e si sforza di imitarlo, soprattutto nella sua passione per il popolo, nel suo coraggio per difendere la purezza delle fede, nel suo donarsi completamente senza risparmio, come testimoniano le numerose lettere al clero e al popolo, le assidue visite pastorali, i frequenti sinodi diocesani, i due congressi eucaristici.
Sotto la porpora continua tuttavia a battere il cuore del monaco, affascinato da Dio, innamorato della preghiera, portato per natura al silenzio ed alla contemplazione. Dal fisico esile e fragile, sotto le vesti liturgiche diventa un gigante: «Si vedeva un santo a colloquio con l’invisibile potenza di Dio», ricordano i testimoni, «non si poteva guardarlo senza essere scossi da un brivido religioso».
Dai suoi sacerdoti esige la santità della vita, perché «pare che la gente non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega». Oltre che pastore di anime, è un fine studioso di storia, di catechesi, di archeologia e di arte, ma prima di tutto è un liturgo, convinto che la liturgia «è per eccellenza la preghiera della Chiesa», l’unica vera “devozione” di ogni cristiano, che non deve andare in cerca di altre “devozioni”.
E neppure cedere alla tentazione del sentimentalismo, del superattivismo e dell’appariscente perché «è inutile e pericoloso sfruttare il cuore, quando la fede manca dei suoi preamboli razionali… Purtroppo, noi ci prestiamo a tale svuotamento della Religione e ci accontentiamo facilmente delle folle oceaniche, dei nostri Congressi, delle processioni, delle Feste Centenarie».
Muore, quasi improvvisamente, il 30 agosto 1954 nel seminario di Venegono, dove i medici lo hanno mandato a recuperare le forze, logorate dal suo generoso e continuo donarsi. E che non avesse solo predicato, ma prima di tutto vissuto la santità in un personale sforzo quotidiano ed eroico, si è avuto conferma il 12 maggio 1996, quando Giovanni Paolo II ha proclamato beato Alfredo Ildefonso Schuster, il monaco-cardinale fermamente convinto che «il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi, ha paura invece della nostra santità».
Autore: Gianpiero Pettiti
11Culto
Nel Martirologio Romano, 30 agosto, n. 15:
«A Venegono vicino a Varese, transito del beato Alfredo Ildefonso Schuster, vescovo, che, da abate di San Paolo di Roma elevato alla sede di Milano, uomo di mirabile sapienza e dottrina, svolse con grande sollecitudine l'ufficio di pastore per il bene del suo popolo. »