La sede era rimasta vacante per un anno e mezzo dopo la morte del card. Domenico Agostini, patriarca dal 1877 al 1891, a causa del il rifiuto di numerosi vescovi, ma dovevano passare ancora 15 mesi prima che potesse prendervi possesso: il regio Exequatur non giungeva a causa dell'opposizione di Francesco Crispi, che opponeva il diritto della nomina regia per il patriarcato di Venezia.
Solo il 5 settembre 1894 il re firmò il decreto ed il 24 novembre 1894 il Sarto poteva insediarsi sulla cattedra di S. Lorenzo Giustiniani. I veneziani lo accolsero con grandi feste: forse mancavano solo gli amministratori della città lagunare, di tendenza liberal-democratica, che tennero chiuso per l'occasione il municipio.Leggi tutto ⇩
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Vescovo di Mantova dal novembre 1884 al giugno 1893.
Cinque mesi più tardi, il 18 aprile 1885, fece il suo ingresso nella diocesi di Mantova: una diocesi "difficile", che Gianpaolo Romanato ha definito "una diocesi alla deriva"Leggi tutto ⇩
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Canonico a Treviso dal novembre 1875 al novembre 1884
Aveva quasi quaranta anni e mezzo quando sedette a Treviso sul suo stallo canonicale nella prima domenica di Avvento, il 28 novembre 1875. Chiamato dal vescovo Zinelli, svolse una attività fra cattedrale, la curia ed il seminario, ma non mancò di impegnarsi anche sul fronte del Movimento Cattolico trevigiano, che stava muovendo i primi passi e che dal 1892 in poi avrebbe dato grande impulso alle Casse Rurali cattoliche, e in campo giornalistico con i periodici L'Eco del Sile (1878-82) e Il Sile (1883-1885), sfociati poi dopo qualche tempo ne La Vita del Popolo, fondato nel 1892. Leggi tutto ⇩
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Parroco di Salzano dal maggio 1867 al novembre 1875
Fece il suo ingresso senza alcun festeggiamento esteriore nella parrocchia di S. Bartolomeo di Salzano la sera del 13 luglio 1867, di sabato.Leggi tutto ⇩
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cappellano a Tombolo
cappellano a Tombolo dal 1858-1867Leggi tutto ⇩
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Luogo di morte del santo
Proprio nei primi giorni della prima guerra mondiale, Pio X morì per una cardiopatia (probabilmente di pericardite) il 20 agosto 1914Leggi tutto ⇩
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Luogo di nascita di San Pio X
Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese - comune che dal 1952 ha assunto la denominazione di Riese Pio X, in provincia di Treviso - secondo di dieci figli in una famiglia modesta. Suo padre Giovanni Battista (1792-1852) era, oltre che fattore, cursore dell'amministrazione asburgica (assimilabile alle odierne funzioni di messo comunale) e sua madre, Margherita Sanson (1813-1894), una modesta sarta di campagna.Leggi tutto ⇩
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Vita in capitoletti
1) I Sarto dal Quattrocento all'Ottocento
I Sarto sono approdati a Riese solo nella seconda metà del Settecento: per la precisione, si sistemarono a Riese nel 1763, provenendo dalla limitrofa comunità di Castello di Godego, situata in provincia e diocesi di Treviso.
Questo ramo, direttamente collegato in quanto ad appartenenza a Giuseppe Sarto, il papa Pio X, si è estinto nel 1930, con la morte di Maria Sarto, l'ultima delle sue sorelle nubili.
Le ricerche condotte da Francesco Franceschetti[1], da Angelo Marchesan[2] e da Antonio Gheno[3] portano tutte alla conclusione che i Sarto fossero originari di Villa Estense (Padova): per tale affermazione citano una probante ma non sempre esatta documentazione, che fanno risalire alla fine del Quattrocento.
Un ramo della famiglia, le cui vicende intermedie sono in parte note, si trapiantò da questo luogo a San Giorgio in Brenta, paesello nelle vicinanze di Cittadella, in provincia di Padova ed in diocesi di Vicenza.
In questo luogo nacque Anzolo Sarto (1721?-1784), che sposò il 22 maggio 1761 a Castello di Godego Antonia Liviero, vedova di Zamaria Fratin.
Non più giovani (avevano entrambi un'età di circa quarant'anni), dal loro matrimonio nacque Giuseppe Sarto (1762-1841), l'unico loro figlio di cui si abbia notizia e del quale si trovi conferma nei documenti esistenti a Castello di Godego e a Riese[4].
Un anno dopo, nel 1763[5], la famiglia si trasferì definitivamente a Riese.
In questa comunità Giuseppe Sarto, possidente, fu cursore comunale e sposò Paola Giacomello (1765-1837).
In 25 anni dal loro matrimonio nacquero, fra il 1784 ed il 1809, in tutto 11 figli, 6 femmine e 5 maschi. Solo sei di essi sopravvissero.
Il quartogenito era Giovanni Battista (o Giambattista o Gio:Batta) Sarto (1792-1852), padre del futuro papa[6].
Giuseppe Sarto e Paola Giacomello abitarono nella casa della suocera di lui, Angela Girardi, proprietaria di quella che poi fu la casa natale di papa Pio X.
La famiglia non era povera, perché aveva diverse proprietà: due case e sei ettari di terreno[7].
La divisione del patrimonio immobiliare familiare fra i sei figli sopravvissuti, non sempre facile da seguirsi nei documenti, portò Giovanni Battista ad essere proprietario di una casa (quella nella quale nacque il futuro papa Pio X, proveniente dall'asse ereditario della nonna materna del papa) e di due campi.
Giovanni Battista Sarto aveva quasi 41 anni quando sposò, il 13 febbraio 1833, Margherita Sanson (1813-1894): la sposa era soltanto ventenne, e le loro nozze furono benedette dal cappellano don Pier Paolo Pellizzari (S. Vito d'Asolo, 1807 - Vallà, 1875).
Lo sposo era, come suo padre, possidente e cursore comunale, mentre la giovanissima moglie, nata a Vedelago, poco lontano da Riese, era figlia "illetterata", cioè analfabeta, di un oste, Melchiore Sanson (1786-1870) ed era, come la madre, Maria Antonini, una cucitrice.
Fonte http://www.museosanpiox.it/sanpiox/pio_x1.htmlLeggi tutto ⇩
2) L'infanzia e l'adolescenza di Giuseppe Sarto
Fra il 1834 ed il 1852, nei 19 anni del loro matrimonio, da Giovanni Battista Sarto e da Margherita Sanson nacquero 11 figli, dei quali il futuro papa era il secondogenito.
In quasi tutte le biografie ne vengono citati solo dieci, nel seguente ordine, seguendo l'ovvio criterio della data di nascita: Giuseppe (31 gennaio 1834 - 6 febbraio 1834), Giuseppe Melchiore (2 giugno 1835 - 20 agosto 1914, il futuro papa), Angelo (26 marzo 1837 - 9 gennaio 1916), Teresa (26 gennaio 1839 - 27 maggio 1920), Rosa (12 febbraio 1841 - 11 febbraio 1913), Antonia (26 gennaio 1843 - 2 marzo 1917), Pierluigi (o Pier Luigi, 26 gennaio 1845 - 6 febbraio 1845), Maria (26 aprile 1846 - 30 marzo 1930), Lucia (29 maggio 1848 - 19 giugno 1924), Anna (4 aprile 1850 - 29 marzo 1926), Pietro Gaetano (30 aprile 1852 - 30 ottobre 1852)[8].
Giuseppe Melchiore Sarto nacque il 2 giugno 1835 ed il giorno successivo, 3 giugno 1835, gli venne amministrato il battesimo dal cappellano don Pier Paolo Pellizzari, che poco più di due anni prima aveva unito in matrimonio i suoi genitori.
Giuseppe Sarto nacque nel Veneto austriaco, assegnato alla sfera d'influenza dell'impero austro-ungarico, secondo le decisioni del Congresso di Vienna (1815). Era molto bravo a scuola: a volte sostituiva il maestro, Francesco Gecherle. Era molto sveglio e dimostrava già da allora un carattere vivace, impulsivo e rigoroso e, oltre a saper leggere e scrivere, "imparò pure a rispondere alla santa messa, a frequentare il coro, in una parola, ad andar per chiesa. Non mancava mai alla dottrina cristiana, al catechismo ed alle altre istruzioni"[9].
Ogni giorno si recava a pregare al santuario mariano delle Cendrole, la pieve matrice di tutte le comunità parrocchiali dei dintorni e fin dall'infanzia si sentì chiamato al sacerdozio.
Il parroco don Tito Fusarini (Mestre, 1812- Venezia, 1877), parroco di Riese fra il 1842 ed il 1853, oltre che allo studio della dottrina cristiana, lo avviò, forse nel 1844, allo studio del latino, materia nella quale fu seguito dal cappellano don Luigi Orazio, morto a Santandrà (Treviso) nel 1884.
Ricevette il sacramento della cresima (che in quei tempi precedeva l'amministrazione del sacramento dell'eucaristia) ad Asolo, a 10 anni, il 1° settembre 1845 dal vescovo Giovanni Battista Sartori Canova, e fu ammesso alla prima comunione ad 11 anni il 6 aprile 1846[10].
Il 22 agosto 1846 sostenne da privatista l'esame di chiusura del ciclo primario degli studi presso la scuola elementare maggiore di Treviso e poi iniziò a frequentare il ginnasio a Castelfranco.
Si recava giornalmente nel capoluogo castellano, distante da Riese 7 chilometri, a piedi (a volte con gli zoccoli sulle spalle, per non consumarli) o con passaggi su carri. Ogni semestre sosteneva l'esame presso il seminario di Treviso, risultando sempre primo col massimo dei voti.
Frequentò la scuola di Castelfranco dall'autunno 1846 all'estate 1850. Per il pranzo si recava presso la famiglia di Giovanni Battista Finazzi, esattore delle imposte del distretto: qui talvolta si fermava anche per dormire e per dare lezioni private ai bambini.
Alla fine del quarto corso ginnasiale risultò primo ancora una volta: coronò infatti i suoi studi nel 1850 presso il seminario di Treviso (unico istituto della diocesi che potesse attestare il valore legale degli studi mediante esame) a pieni voti, risultando eminente in tutte le materie, primo fra i 43 alunni concorrenti privati provenienti dai vari luoghi della provincia.
Sarà sempre e senza alcuna eccezione il primo della classe.
La sua famiglia, povera come lo erano tante altre in quei tempi, ma non certo fra le più povere di Riese, era una famiglia unita, patriarcale: una delle numerosissime famiglie di "cattolici" di Riese che costituivano la comunità parrocchiale di S. Matteo e che vivevano intensamente il loro credo.
Questa era una delle parrocchie più omogenee dal punto di vista della fede cristiana, "intessuta di osservanze e devozioni che germinano tra famiglie", vantava il primato di avere una percentuale molto bassa di inconfessi (cioè coloro che non si accostavano ai sacramenti neppure per la Pasqua: poco più dell'1%), e si segnalava per la grande pietà religiosa: "A Riese la rete delle confraternite è densissima"[11].
Il padre, il cursore comunale Giovanni Battista Sarto, però non era contento che il figlio seguisse la vocazione sacerdotale e proseguisse gli studi[12].
Fonte http://www.museosanpiox.it/sanpiox/pio_x1.htmlLeggi tutto ⇩
3) Nel seminario di Padova (13 novembre 1850-14 agosto 1858)
Per potere permettere a Giuseppe Sarto il proseguimento degli studi intervenne il cardinale e poeta riesino Jacopo Monico (1778-1851), figlio di Adamo Monico, fabbro, e di Angela Cavallin: in un primo tempo professore del seminario di Treviso, fu poi parroco di S. Vito d'Asolo (eletto nel 1818 all'unanimità dei capi famiglia); nominato da Pio VII vescovo di Ceneda il 16 marzo 1823, divenne infine patriarca di Venezia nel 1827 (dove entrò l'8 settembre) e qui rimase fino al 1851, anno della sua morte[13].
Il 28 agosto 1850 pervenne alla famiglia Sarto la comunicazione che il giovane Giuseppe poteva entrare nel Seminario di Padova ed occupare il posto gratuito previsto dal collegio Tornacense Campion[14].
Il 19 settembre 1850, a 15 anni, vestì l'abito clericale ed il 13 novembre 1850 entrò definitivamente nel seminario patavino, riformato da S. Gregorio Barbarigo (1625-1697), vescovo di Padova dal 1664 alla morte.
Il giovane seminarista rimase sempre in comunicazione epistolare con i suoi educatori ecclesiastici a Riese, in particolare con don Pietro Jacuzzi (Artegna, 1819- Treviso, 1902).
Dopo il primo anno di scuola seminariale fu giudicato "primo con tutte eminenze": la stessa situazione scolastica si presentò sempre, con rigorosa puntualità dal 1850 al 1858, durante tutto il curriculum degli studi ginnasiali, liceali e teologici.
Si segnalò subito, oltre che per capacità intellettuali, anche per la forte personalità: a 19 anni fu ritenuto dai superiori in grado di fungere da "prefetto primo" di camerata per i chierici fra il 1854 ed il 1858. In questa veste doveva stendere dei giudizi sintetici sui suoi compagni di vocazione, evidenziando i tratti essenziali dell'indole di ciascuno: gli storici hanno individuato in essi una singolare capacità di comprendere l'animo umano[15].
Nel seminario patavino curò soprattutto il latino e la musica sacra. Il suo interesse per quest'ultima fu veramente notevole: si cimentò nella composizione di 15 pezzi musicali per la Settimana Santa, fu scelto come maestro di musica dei chierici e fu eletto direttore della Cappella Musicale del seminario[16].
Nelle discipline dell'ordinamento degli studi risultò sempre fra i primi, in particolare fu eccellente studente di latino e di matematica, un po' meno in filosofia: in latino non poteva non esserlo, con le sue notevoli capacità, in una scuola illuminata dal genio umanistico di Egidio Forcellini (Campo, Alano di Piave, Belluno, 1688-1768), l'autore del Lexicon totius latinitatis, uscito postumo nel 1771.
Sei anni prima di ricevere il sacramento dell'ordine, la vita del giovane Sarto improvvisamente diventò più difficile per la morte del padre Giovanni Battista, morto il 4 maggio 1852. E quell'anno fu anche ulteriormente funesto per la morte del fratello ultimogenito, Pietro Gaetano, nato 4 giorni prima della morte del suo ormai sessantenne padre, e morto solo sei mesi dopo questa data, il 30 ottobre 1852.
Tra il 1855 ed il 1858 fu ammesso ai vari gradi degli ordini ecclesiastici, nel seminario di Treviso dal vescovo Farina: dapprima agli ordini minori (ostiariato e lettorato, 22 dicembre 1855 - esorcistato e accolitato, 6 giugno 1857), poi agli ordini maggiori (suddiaconato, 19 settembre 1857 - diaconato, 27 febbraio 1858).
Ricevette il sacramento dell'ordine sacro il 18 settembre 1858, nel duomo di Castelfranco Veneto dalle mani del vescovo di Treviso, Giovanni Antonio Farina (Gambellara, 1803-Vicenza, 1888), il fondatore delle suore dorotee, che dopo quasi un triennio fu trasferito a Vicenza nel 1861. Aveva poco più di 23 anni, uno in meno dell'età richiesta: per diventare sacerdote aveva dovuto richiedere alla Santa Sede la dispensa. Il giorno dopo, 19 settembre, cantò la sua prima messa a Riese.
Del seminario patavino conservò sempre ottimo ricordo: a Venezia, nel dicembre 1894, ormai cardinale e patriarca, si espresse qualificando l'ottennio di Tombolo come "gli anni più belli della mia vita", proprio come Galileo Galilei ritenne il periodo trascorso a Padova (1592-1610) "li 18 anni migliori di tutta la mia età"[17].
Fonte http://www.museosanpiox.it/sanpiox/pio_x1.htmlLeggi tutto ⇩
4) Cappellano di Tombolo (novembre 1858-maggio 1867)
Come cappellano fu destinato a Tombolo, una parrocchia in provincia di Padova posta ai confini della diocesi di Treviso, a pochi chilometri dalla città turrita di Cittadella, la prima comunità della diocesi di Padova.
La chiesa parrocchiale, dedicata a S. Andrea apostolo, richiamava fedeli che vivevano in un territorio economicamente e politicamente controllato dal conte Giovanni Cittadella.
Gli abitanti di Tombolo erano nella stragrande maggioranza sensali e mercanti di bestiame.
Nonostante il relativo benessere comportato dall'iniziativa privata e da un mercato unico o quasi nel suo genere, anche la povertà doveva avere la sua incidenza, se a Tombolo il neo sacerdote e neo cappellano iniziò a donare alla gente più povera il frumento che gli spettava per la funzione sacerdotale svolta: c'erano persone, del tutto bisognose di sostentamento, che sentiva (come testimoniano gli storici) come suoi diretti fratelli, quasi facenti parte di un'unica famiglia, con tutti i crucci economici e giuridici che ciò comportava.
Il suo parroco era don Antonio Costantini (Cortina d'Ampezzo, 1821-Tombolo, 1873) che più volte sostituiva per le sue precarie condizioni di salute.
Era un parroco che lo seguiva con l'occhio critico del pastore che sentiva la responsabilità di indirizzare alle future responsabilità i sacerdoti a lui affidati: con lui il neosacerdote discuteva e si consultava, acquisendo esperienza pastorale.
A Tombolo iniziò a scrivere prediche, discorsi sacri e istruzioni catechistiche (tutto il materiale omiletico da lui composto in vari periodi fu raccolto in seguito in cinque volumi, ora conservati nella Biblioteca del seminario di Treviso).
In particolare, sotto la guida "maieutica" di don Costantini, acquisì una certa fama oratoria: con una punta d'ironia veniva denominato "cappellanus de cappellanis" perché, reso celebre nella diocesi di Treviso, era richiesto nelle varie parrocchie, e perfino giunse a recitare nella cattedrale un panegirico sul Beato Enrico da Bolzano, un patrono secondario della città di Treviso.
Nella sua prima comunità si dedicava spesso ad opere di carità, trascurandosi nelle vesti e rinunciando anche a necessità vitali.
Aveva una sua concezione provvidenziale, fatalistica ed immobilistica della povertà e della ricchezza: nel celebre discorso funebre pronunciato a Cittadella (Padova) in occasione dell'anniversario delle esequie della contessa Elisabetta Viani (24 novembre 1863), enunciò la sua teoria sul rapporto tra povertà e ricchezza, secondo la quale per i poveri non era concepibile un riscatto sociale se non nella misura in cui dovevano permettere ai ricchi di entrare nel Regno dei Cieli.
La sua quotidianità era caratterizzata da un'attività frenetica: dormiva poco, era impegnato ed onnipresente, sostituiva il parroco durante gli attacchi della malattia.
Era detto "moto perpetuo" per la sua incessante attività in parrocchia e fuori. Sempre a contatto diretto colla popolazione di giorno, alla sera dava lezioni di canto corale e si rendeva disponibile per insegnare a leggere e a scrivere agli analfabeti, molto numerosi a quel tempo.
Studiava, alla fine della sua giornata, le opere di San Tommaso, la Sacra Scrittura, il diritto canonico (che a quel tempo era solo un miscuglio di norme giuridiche accumulatosi nei secoli).
Si coricava e dormiva per quattro ore.
Dei suoi magri guadagni non investiva alcunché: i testimoni ai processi canonici assicurano coralmente l'esercizio costante della carità materiale da parte del loro cappellano: era sicuro che la Provvidenza lo avrebbe sempre sorretto e guidato, e donava quello che aveva, giungendo a contrarre debiti (che riguardavano pure la sua famiglia di Riese), per onorare i quali cominciò a conoscere la via dei Monti di Pietà di Cittadella e di Castelfranco Veneto (Treviso), dove impegnava il suo orologio d'argento. Era ritenuto da tutti un santo ed una perla di prete.
Per tutte queste caratteristiche umane, il Costantini profetizzò: "Presto lo vedremo parroco di una delle più importanti parrocchie della diocesi, poi lo vedremo con le calze rosse...e poi...chissà!".
Secondo lo storico mons. Angelo Marchesan, che scrisse una delle più esaurienti biografie del Sarto (che fu anche corretta in bozze di propria mano dal papa o dal suo segretario), non dimenticò mai il periodo di Tombolo, così importante per la sua formazione umana e sacerdotale: "Tombolo fu il vero tirocinio della carriera ecclesiastica di don Giuseppe Sarto, e il Costantini ne fu il vero maestro, ricco di dottrina e d'esperienza"[1].
Nel 1867 fu invitato dal suo vescovo, mons. Federico Maria Zinelli (Venezia, 1805-Treviso, 1879), a partecipare ad un concorso per assumere la responsabilità pastorale di una delle cinque parrocchie allora vacanti. Il 21 maggio 1867 fu nominato parroco di Salzano, in provincia di Venezia ma in diocesi di Treviso, la più importante tra le parrocchie messe a concorso.
Quando partì da Tombolo venne rimpianto da tutti i tombolani.
Fonte http://www.museosanpiox.it/sanpiox/pio_x2.htmlLeggi tutto ⇩
5) Parroco di Salzano (maggio 1867-novembre 1875)
Fece il suo ingresso senza alcun festeggiamento esteriore nella parrocchia di S. Bartolomeo di Salzano la sera del 13 luglio 1867, di sabato.
La sua venuta non era gradita da parte della popolazione e dei maggiorenti del luogo, a capo dei quali si segnalarono i pubblici amministratori ed i fabbricieri, abituati a parroci di grande esperienza e di fama. Le parole di scarso apprezzamento ed i mugugni non si sprecarono: troppo giovane (32 anni) per una comunità così importante, poche referenze, troppo poco noto.
Un prete insomma "che no se ghe darìa un schèo" (un sacerdote di poco valore), ma ben presto tutti si ricredettero.
Salzano era una comunità ecclesiale di 2282 abitanti, per la maggior parte agricoltori, quasi tutti mezzadri della famiglia di Moisè Vita Jacur (1797-1877), israelita, che aveva ampi possedimenti.
Come tutti gli storici sono concordi di sottolineare, l'impegno maggiore del nuovo e giovane parroco fu quello della catechesi degli adulti e dei fanciulli.
Istituì un catechismo a dialogo con don Giuseppe Menegazzi (Noale, 1840-Treviso, 1917), suo successore alla guida della parrocchia dal 1876 al 1885. Frutto concreto di questa metodologia sono due quaderni manoscritti, valorizzati da mons. Francesco Tonolo nel 1954 e da mons. Giuseppe Badini nel 1974, che contengono 577 domande e risposte[1].
Questa prassi catechistica richiamava a Salzano i fedeli delle parrocchie limitrofe, che disertavano le proprie chiese con conseguenti lagnanze dei parroci presso il vescovo, che si limitava a suggerire: "fate anche voi altrettanto!". Accanto alla catechesi ordinaria curava la Confraternita della Dottrina Cristiana, eretta nel 1723.
Altro aspetto per cui è universalmente nota l'azione pastorale di don Giuseppe Sarto a Salzano è quello dell'ammissione all'eucaristia dei fanciulli in giovanissima età, proprio appena erano capaci di distinguere la differenza fra il pane-cibo quotidiano ed il pane-cibo spirituale: anticipò tale ammissione all'età di 8-9 anni, mentre era in uso pressoché generalizzato un avvicinamento alla mensa eucaristica intorno ai 12-14 anni.
Liturgia e musica sacra erano per il giovane parroco di Salzano momenti di grande intensità e indissolubilmente legati tra loro: restaurò l'organo settecentesco del Moscatelli, ampliato dal Callido e dai Fratelli Bazzani (9 novembre 1867), e nell'inverno 1868 istituì una scuola serale di canto. La notorietà acquisita dal giovane sacerdote in ambito musicale era apprezzabilmente alta, certamente di livello ultradiocesano: fu invitato a partecipare nel 1874 al 1° Congresso dei cattolici italiani, tenuto a Venezia nel 1874 (12-16 giugno), ma non vi prese parte[2].
L'attività pastorale sul versante mariano si realizzò soprattutto nei confronti della Madonna del Carmine, onorata sotto il nome locale di Madonna della Roata, istituì la pia pratica del mese di maggio (1869) che prima non esisteva, ed onorò la Madonna Immacolata Vergine commissionando una pala d'altare nell'oratorio posto in località Castelliviero. Contribuì ad aumentare il culto di S. Antonio di Padova, di S. Luigi e di S. Valentino con la pala commissionata nel 1870 al pittore veneziano Pietro Nordio.
Sul fronte più strettamente amministrativo, certamente non lieve fu la gestione del passaggio dal regime legato alla dominazione austriaca a quello dell'Italia appena uscita dalla Terza Guerra d'Indipendenza, che trasferì al Veneto la legislazione giacobina ed anticlericale piemontese.
Si trovò subito a rivendicare alla sua nuova parrocchia il lascito del suo predecessore, don Antonio Bosa (Pagnano, 1804-Salzano, 1867), che riuscì a trasformare nella Pia Opera Bosa, con un pensiero particolare dedicato alle giovani maritande di onorato costume, ai giovani ed al lavoro dei giovani.
Come molti parroci veneti dell'Ottocento, si trovò investito della responsabilità di dirigere le scuole del comune: fu infatti eletto direttore nel 1868 e sopraintendente nel 1869; tra l'altro durante la sua cura parrocchiale fu aperta la sezione femminile della scuola comunale, perché in precedenza, durante il governo austriaco, per le donne non era prevista alcuna istruzione. Il suo pensiero mirava anche all'alfabetizzazione degli adulti, per la cui istruzione si adoperò durante le ore serali.
Sul fronte degli anziani e della sanità pubblica, potenziò il locale ospedale civile (uno dei pochi della provincia di Venezia, chiuso per ragioni finanziarie nel 1883) e la annessa casa di ricovero per anziani, fondati da don Antonio Bosa nel 1855 in seguito al lascito di don Vittorio Allegri (Loreggia, Padova, 1791-Padova, 1835), parroco di Salzano dal 28 aprile 1791 al 24 ottobre 1825[3], dotandoli pure di adeguata normativa (statuto e regolamento interno).
Curò in modo particolare l'unione del paese, frazionato dal punto di vista civile ed amministrativo fin dai tempi della plurisecolare dominazione della Serenissima Repubblica veneta, che permanevano ancora vive.
Come a Tombolo, anche a Salzano dedicava poco tempo al riposo notturno. Studiò in modo particolare i Padri della Chiesa, si esercitò nell'oratoria ecclesiastica e continuò a scrivere prediche.
Molto utile per ricostruire tutte le sue iniziative è un Registro di una cassa privata, che teneva parallelamente a quella ufficiale, nella quale annotava ogni minima spesa sostenuta. In esso sono annotate tra l'altro le misere entrate, quasi tutte imputabili alla borsa fatta girare in chiesa e alle cosiddette "cérche", cioè alle questue in generi di natura, quali frumento, granoturco, uva, legna, galletti, bozzoli da seta (galette), uova, vino), e le spese, il cui capitolo più rilevante e pesante va cercato nella estinzione di un gravosissimo debito acceso dal predecessore don Antonio Bosa, che aveva voluto intorno al 1843 ricostruire quasi radicalmente la chiesa in stile neoclassico, debito che gli riuscì di onorare "usque ad ultimum quadrantem" il 12 dicembre 1873, pagando le ultime 1000 lire all'impresario miranese Giuseppe Dal MasLeggi tutto ⇩
6) Canonico a Treviso (novembre 1875-novembre 1884)
Aveva quasi quaranta anni e mezzo quando sedette a Treviso sul suo stallo canonicale nella prima domenica di Avvento, il 28 novembre 1875.
Chiamato dal vescovo Zinelli, svolse una attività fra cattedrale, la curia ed il seminario, ma non mancò di impegnarsi anche sul fronte del Movimento Cattolico trevigiano, che stava muovendo i primi passi e che dal 1892 in poi avrebbe dato grande impulso alle Casse Rurali cattoliche, e in campo giornalistico con i periodici L'Eco del Sile (1878-82) e Il Sile (1883-1885), sfociati poi dopo qualche tempo ne La Vita del Popolo, fondato nel 1892.
Fu principalmente cancelliere vescovile, direttore spirituale del seminario e canonico residenziale: il Marchesan ha infatti evidenziato anche la presenza come consigliere nel Tribunale Ecclesiastico e come esaminatore prosinodale.
Durante il periodo trevigiano ebbe modo quindi di addentrarsi sempre più e meglio nei meandri del diritto canonico e di conoscere bene i problemi dell'ambiente seminariale.
Come oratore continuò ad essere ricercato, come catechista fece tesoro delle esperienze di Tombolo e di Salzano (portò con sè i due quaderni scritti a Salzano) e in ambito liturgico continuò a tenersi aggiornato, specialmente in tema di musica sacra (nel 1882 partecipò ad Arezzo al centenario del monaco aretino).
Circondato, nonostante l'età relativamente giovane, dalla stima dei suoi confratelli, come riconoscimento del suo valore fu eletto primicerio del capitolo il 12 giugno 1879 e, alla morte del vescovo Zinelli, a 44 anni divenne Vicario Capitolare: resse quindi le 210 parrocchie e i circa 350.000 fedeli della diocesi fra il 27 novembre 1879 ed il 26 giugno 1880.
Durante i quasi nove anni di servizio alla Chiesa di Treviso servì tre vescovi: Federico Maria Zinelli fra il 1875 ed il 1879, Giuseppe Callegari dal 1880 al 1883, e Giuseppe Apollonio fra il 1883 ed il 1884. Nel settembre 1884 gli giunse la notizia di essere stato nominato vescovo di Mantova, e il successivo 16 novembre 1884 fu consacrato vescovo a Roma, nella chiesa di S. Apollinare, dal cardinale mantovano Lucido Maria Parocchi (Mantova, 1833-Roma, 1901), vicario di Leone XIII per la città di Roma.
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7) Vescovo di Mantova (novembre 1884-giugno 1893)
Cinque mesi più tardi, il 18 aprile 1885, fece il suo ingresso nella diocesi di Mantova: una diocesi "difficile", che Gianpaolo Romanato ha definito "una diocesi alla deriva"[1].
Alla guida di questa diocesi avevano già fallito due vescovi intransigenti: mons. Pietro Rota (S. Prospero, Reggio Emilia, 1805-Roma,1890) fra il 1871 ed il 1879, e mons. Giovanni Maria Berengo (Venezia, 1820-Udine, 1896) fra il 1879 ed il 1884. Il primo rinunciò all'episcopato mantovano ed il secondo fu "promosso" alla sede di Udine.
L'ambiente cittadino era caratterizzato da diffusa miscredenza, settarismo, anticlericalismo "rabbioso" fomentati dalla attiva presenza della massoneria. Inoltre gli ambienti colti erano pervasi da idee ispirate a scientismo, razionalismo e positivismo.
Il capofila del positivismo italiano, Roberto Ardigò (1828-1920), professore del seminario mantovano e canonico, aveva gettato la tonaca alle ortiche nel 1871. È il caso più celebre ed emblematico, ma già nell'anno precedente 10 sacerdoti avevano smesso l'abito clericale.
Subito si impegnò per "ricostruire" il seminario, rimasto chiuso qualche anno fra il 1870 ed il 1880, ma già nel 1886 la cura Sarto registrava i primi frutti.
Altro obiettivo focalizzato immediatamente era la "ricostruzione" delle comunità parrocchiali locali dal punto di vista ecclesiale secondo linee pastorali già realizzate e ampiamente collaudate nel Veneto, incentrate su un'attiva vita sacramentale e sull'insegnamento della dottrina cristiana. Questa ricostruzione dal punto di vista religioso doveva avere dei riflessi anche in una contemporanea ricostruzione dal punto di vista civile della società mantovana, travagliata dal movimento di ispirazione anarchico-socialista "La boje", nel tentativo di rifondare una Societas Christiana attraverso la rivitalizzazione delle attività che più o meno apertamente presentavano ispirazioni evangeliche.
Il 18 agosto 1885 il nuovo vescovo indisse la Visita Pastorale della diocesi (una seconda fu iniziata il 25 maggio 1889). Vari sono i campi in cui la sua azione religiosa e riformista si fece sentire.
Nel campo della catechesi e della dottrina cristiana, già il 12 ottobre 1885 prescrisse che in ogni parrocchia fosse istituita la Scuola della Dottrina Cristiana, e che in tutte le domeniche e le feste di precetto si dovesse spiegare il catechismo al popolo ed ai fanciulli. A volte teneva la catechesi al posto di un parroco che ne fosse per qualche ragione impedito o in parrocchie sprovviste di sacerdote, e vigilava attentamente per rendersi conto personalmente se e come veniva impartito l'insegnamento catechistico nelle parrocchie.
Altro campo che ha registrato il suo attivo intervento riformistico fu quello della musica sacra, perché tale musica, a Mantova come nel Veneto, era di stile teatrale e melodrammatico. Il 15 ottobre 1887 licenziò tutti i cantori del duomo ed istituì la scuola dei cantori seminaristi. Verso la fine del mandato episcopale a Mantova incontrò il giovanissimo Lorenzo Perosi (1872-1956), che gli parlò della musica della celebre abbazia di Solesmes, centro benedettino francese di rinnovamento liturgico e di sviluppo del canto gregoriano. Come vescovo, raccomandò quest'ultimo, tentando di renderlo popolare affinché fosse cantato durante le celebrazioni liturgiche.
Molto si scritto a questo proposito, ma ecco il suo pensiero in merito: "L'argomento da raccomandare è il Canto Gregoriano e specialmente il modo di cantarlo e renderlo popolare. Oh! se si potesse ottenere che tutti i fedeli, come cantano le Litanie Lauretane e il Tantum Ergo, così cantassero le parti fisse della Messa: il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus, l'Agnus Dei. Questa sarebbe per me la più bella delle conquiste della Musica Sacra, perché i fedeli, prendendo parte veramente alla Sacra Liturgia, conserverebbero la pietà e la devozione". Lo stesso concetto veniva ribadito qualche anno più tardi. "Io me le immagino" scriveva a mons. Giuseppe Callegari durante il periodo veneziano, quando ormai aveva maturato a riguardo una strategia più profonda "mille voci che cantano in una chiesa di campagna la messa degli angeli [...] e resto rapito, come mi eccitano sempre alla pietà e alla devozione i canti del popolo nel Tantum Ergo, nel Te Deum e nelle Litanie e li preferisco alle musiche polifoniche che non siano ben condotte"[2].
Già a Mantova mise in guardia contro quel movimento di pensiero che sarà chiamato Modernismo: il 7 febbraio 1887 puntò il dito contro coloro che "sebbene conoscano superficialmente la scienza della religione e meno la pratichino, pretendono erigersi a maestri e vanno dichiarando [...] dimenticata l'antica follia della Croce, [che] i dogmi della fede debbono adattarsi alle esigenze della nuova filosofia" che veniva proposta dal gesuita inglese George Tyrrell (1861-1909) e dall'esegeta e storico delle religioni francese Alfred Loisy (1857-1940). Essa trovò in seguito in Italia seguaci di un certo rilievo: è un fenomeno da indagare con maggiore imparzialità, ma fu importante perché richiamò l'attenzione, tra le altre, di notevoli personalità, come i sacerdoti Romolo Murri (1870-1944) ed Ernesto Buonaiuti (1881-1946), il romanziere Antonio Fogazzaro (Vicenza,1842-1911), il barnabita ligure Giovanni Semeria (Coldiroli, 1867-Sparanise, 1931), Giovanni Genocchi (Ravenna, 1860-Roma, 1926), il magistrato romano Adolfo Lepri (1881-1948), Mario Augusto Martini (1885-1962) e Guido Manzelli (1888-1960).
La spinta alla riforma della diocesi comportò anche la convocazione di un sinodo diocesano, che in diocesi di Mantova non si teneva da circa due secoli: indetto il 16 febbraio 1887, fu celebrato dal 10 al 12 settembre 1888, e così la diocesi mantovana si diede quella Magna Charta che aggiornava la sua vita religiosa e toglieva quanto si era venuto disordinatamente accumulando dal '700 al 1887 senza che nessun presule facesse le scelte pastorali necessarie.
Diede spazio all'Azione Cattolica ed ebbe una parte notevole nellLeggi tutto ⇩
8) Cardinale patriarca di Venezia (1893-1903)
Circa un anno dopo l'ingresso, nel 1895, a Venezia si tennero le elezioni comunali, che diedero vita alla Giunta Grimani (per la cui affermazione non fu estranea l'opera del neopatriarca), destinata a governare la città fino al dicembre 1919: era espressa da un raggruppamento di cattolici e di moderati guidati dal conte Filippo Grimani, e costituì una anticipazione di quella stagione del cattolicesimo italiano che, nel periodo giolittiano, portò all'attenuazione progressiva del non expedit di Pio IX e al Patto Gentiloni (1913).
Dal punto di vista pastorale, il periodo veneziano si colloca a metà strada fra il magistero episcopale mantovano ed il magistero universale del periodo del papato: vennero ripresi, ampliati ed approfonditi tutti i temi già svolti a Mantova e che poi saranno portati in patrimonio a tutta la chiesa universale.
L'istruzione catechistica e la predicazione a Venezia erano male organizzate e con finalità non del tutto ben precisate; la sacra eloquenza era tribunizia e retorica, quasi profana. Perciò il nuovo patriarca, come primo atto del periodo veneziano, non poteva non intervenire in merito: datato 17 gennaio 1895, ordinava la scuola di catechesi e la formazione dei catechisti, non solo per l'attività nei patronati, ma anche per le scuole municipali. Come a Mantova, frequentemente effettuava qualche blitz per osservare se e come le sue direttive venivano applicate, specialmente in merito allo "spirito di pietà, ardore di carità, scienza e seria preparazione".
Per il seminario ed il clero volle un'organizzazione disciplinare e scientifica adeguata ai tempi, rinnovò il collegio dei professori, riformò gli studi, fondò nel 1902 la facoltà di diritto canonico (la cui attività durò fino al 1932) per dare ai suoi preti una sufficiente conoscenza dei problemi giuridici. Voleva inoltre che partecipassero ogni anno con lui ad un corso di esercizi spirituali, e che intervenissero a conferenze di esegesi biblica, di storia e di archeologia cristiana.
Curava rapporti umani preferenziali con i poveri, era un confessore instancabile, aperto alla conversione dei lontani, un catechista di giovani e fanciulli.
Con la lettera pastorale del 1° maggio 1895 ribadì autorevolmente che il canto e la musica avevano la suprema finalità di essere "preghiera liturgica". Le caratteristiche principali dovevano essere informate a santità del canto, bontà dell'arte, universalità contro le "maniere teatrali". Indicò nel canto gregoriano, nella polifonia alla Palestrina e nella preghiera cantata dal popolo le vie maestre della riforma della musica sacra.
Il 21 maggio indisse la visita pastorale (che durò fino al 1898) e prese ancora una volta posizione contro il Cristianesimo moderno (Modernismo).
Un fatto totalmente nuovo (e tutto veneziano come progetto) fu il XIX Congresso Eucaristico, il quinto nazionale italiano[1], che vide nel metropolita dei veneti il "principale promotore". L'occasione fu fornita da una profanazione avvenuta nella chiesa degli Scalzi. Il 6 aprile 1895 una mano sacrilega asportò una pisside disperdendo le particole per le calli. "Per fare atto di riparazione a Gesù sacramentato, per il mondo che lo misconosce", il patriarca indisse subito un Congresso Eucaristico che fu celebrato due anni dopo, tra l'8 e il 12 agosto 1897.
Si prodigò per aumentare nei fedeli l'amore per l'eucarestia, per far crescere nel popolo mediante la comunione frequente e quotidiana; esortò i parroci ad ammettere a tale sacramento i fanciulli, senza preoccuparsi troppo dell'età, purché fossero abbastanza coscienti del passo che stavano per fare.
Il 1° novembre 1897 indisse il XXIX sinodo della chiesa veneziana, che fu celebrato dall'8 al 10 agosto 1898, con lo scopo di renderla più aderente alle esigenze dei nuovi tempi, dato che la preesistente normativa risaliva al 1865, anno in cui fu promulgata dal card. Giuseppe Trevisanato, patriarca dal 1862 al 1877.
A riguardo del Movimento Cattolico, sulla linea di quanto affermato nei Congressi di Lodi (1890) e di Vicenza (1891), voleva che i cattolici impegnati nel sociale fossero estremamente motivati nell'azione come fratelli, con disciplina, obbedienza, abnegazione nei confronti dei pastori[2]. Tenne sempre un comportamento super partes, cercando sempre di mediare le varie posizioni ed invitando sempre i sostenitori intransigenti dell'Opera dei Congressi e quelli della corrente murriana, detta democratico-cristiana, a condurre l'impegno politico con aderenza al messaggio della fraternità ed al magistero della Chiesa, pur essendo molto più vicino ai primi come forma mentis e formazione sacerdotale.
La questione sociale lo vide invitare le persone a guardare a Cristo-operaio e prodigarsi per trovare, in ogni occasione di contrasto, un'intesa fra prestatori d'opera e datori di lavoro. Più che per le grandi idee o teorizzazioni (alla Leone XIII, per intenderci) era per gli interventi pratici, ben studiati e "mirati", che potevano tenere a distanza le idee socialiste: diede così impulso alla scuola del merletto di Burano (che dava lavoro a 400 ragazze) contribuendo all'emancipazione della donna, si premurò contro l'usura per la costituzione delle casse operaie parrocchiali, le casse rurali ed il Banco di S. Marco, incentivò le società di Mutuo Soccorso (assicurazione contro le malattie), incoraggiò il segretariato del popolo per l'assistenza agli operai ed agli emigranti.
Al secondo Congresso dell'Unione Cattolica degli studiosi di Scienze Sociali di Padova (26-28 agosto 1896) rivolse ai presenti un discorso esclusivamente pastorale e religioso, iniziato e terminato con un solenne Sia lodato Gesù Cristo, che esprimeva la sua visione del problema, imperniata sulla certezza "dell'ortodossia delle dottrine che saranno sviluppate coi criteri più rigorosi della scienza cristiana, nella più schietta adesione alla fede cattolica e nella più perfetta dipendenza dalla Chiesa, in cui continua e si svolge la vita e la dottrina di Gesù Cristo"[3].
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9) Papa Pio X (4 agosto 1903-20 agosto 1914)
Morto Leone XIII il 20 luglio 1903, il card. Sarto partì per Roma il 26 luglio. Ai veneziani che erano accorsi alla stazione per salutarlo assicurò: "o vivo o morto tornerò!".
I papabili erano il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Leone XIII, e il cardinale Gotti: ma i tempi erano ormai maturi per una scelta nuova. Al Rampolla si può applicare una salace considerazione riportata da Ernesto Vercesi, dello stesso Leone XIII, al quale fu domandato come mai il "Cardinale Consalvi non ebbe dei voti alla morte di Pio VII, dopo i grandi servizi che aveva reso alla Chiesa? Leone rispose: «Consalvi aveva durato anche troppo». Erano molti anche nel Sacro Collegio che desideravano un indirizzo nuovo. S'invocava un papa che permettesse un'evoluzione che si sentiva nell'aria"[1].
Il card. Sarto entrò in conclave nel pomeriggio del 31 luglio e, dopo che le prime votazioni avevano evidenziato una radicale contrapposizione di schieramenti, fu sottoposto a pressioni sempre crescenti; dopo aver inutilmente cercato di non farsi eleggere, nel tardo mattino del 4 agosto fu eletto papa con 50 voti su 62 teoricamente possibili (80,6%). Assunse il nome di Pio, in ricordo dei papi con questo nome che "nel secolo passato hanno coraggiosamente lottato contro le sette e gli errori", cioè Pio VI, Pio VII e Pio IX.
Annunciò il programma del suo pontificato con l'enciclica E supremi apostolatus cathedra (4 ottobre 1903), nella quale è contenuto anche il motto Instaurare omnia in Christo[2].
La realizzazione di tale programma ebbe subito inizio con un ritmo incalzante: dal motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903) per la riforma della musica sacra, al motu proprio Fin dalla prima (18 dicembre 1903) per il riordinamento dell'Azione Popolare Cristiana, alla costituzione Commissum nobis (20 gennaio 1904) condanna del Veto in Conclave, cioè quell'anacronistico diritto delle potenze europee di opporsi alla elezione a papa di un cardinale non gradito: fu usato per l'ultima volta dal card. Puzyna di Cracovia proprio nel conclave da cui uscì eletto.
Seguirono l'enciclica Ad diem illum (2 febbraio 1904) per il cinquantesimo anniversario della definizione del dogma dell'Immacolata Concezione, la lettera Quum arcano (11 febbraio 1904) con la quale indiceva la visita apostolica alla città di Roma[3], seguita in breve tempo dal decreto Constat apud omnes (7 marzo 1904), in cui prendeva un'analoga iniziativa per la visita apostolica alle diocesi italiane.
Cinque giorni dopo era la volta dell'enciclica Iucunda sane (12 marzo 1904) per il XIII Centenario di S. Gregorio Magno e, 12 giorni dopo, quella del motu proprio Arduum sane munus (19 marzo 1904) per la compilazione del nuovo Codice di Diritto Canonico: non vedrà ultimata questa immane impresa, che verrà presentata alla Chiesa dal suo successore, Benedetto XV, il 25 maggio 1917, giorno di Pentecoste.
Sul fronte politico italiano, il nuovo papa iniziò con cautela e circospezione ad attenuare il Non expedit e ad aprirsi alle correnti politiche moderate per evitare l'elezione di esponenti radicali o socialisti. Di fronte alla crisi dell'Opera dei Congressi, prese la decisione del suo scioglimento; secondo un disegno strategico improntato all'azione del laicato sotto un rigido controllo ecclesiastico, con la lettera La lettera circolare (1 marzo 1905) riprovò la Democrazia Cristiana Autonoma e con l'enciclica Il fermo proposito (11 giugno 1905) favorì la riorganizzazione dell'Azione Cattolica in Italia. Conscio dell'importanza del laicato cattolico nella riconquista cristiana della società, vedeva nella sua azione un prolungamento dell'azione del clero, in una visione confessionale nella quale emergeva la pragmaticità pastorale di antico parroco di Salzano.
Il 1905 fu anche l'anno dell'enciclica Acerbo nimis (15 aprile 1905) sull'insegnamento del catechismo, uno dei primi interventi in questo ambito, per i quali sarà chiamato il "papa del catechismo". Ma, a fianco di questo titolo, si trova anche quello di "papa dell'eucaristia", perché l'eucaristia fu il tema fondamentale del decreto Sacra Tridentina Synodus (20 dicembre 1905), riguardante la comunione frequente e quotidiana.
Sul fronte della politica internazionale era intanto scoppiata la questione francese: dopo le vicende legate alle "leggi inique" votate in Francia contro la Chiesa fra il 1880 ed il 1903, e le controversie che avevano seguito la visita al Quirinale del presidente francese Émile Loubet (1838-1929), avvenuta nel 1904, il 9 dicembre 1905 il parlamento francese votò la legge di separazione fra Stato e Chiesa. La risposta di Pio X non si fece attendere e si concretizzò in due encicliche contro il governo francese: nell'enciclica Vehementer condannò la separazione della Chiesa dallo Stato in Francia (11 febbraio 1906), e nella Gravissimo officii munere condannò le leggi cultuali proposte dal governo francese (10 agosto 1906).
Non furono questi gli unici atti legati a controversie fra Chiesa e Stato. In altri paesi, come in Ecuador e, qualche anno dopo in Portogallo, lo stato aveva emanato "leggi persecutrici" nei confronti della Chiesa: Pio X espresse il "suo dolore" con la lettera Acre nefariumque bellum (14 maggio 1905) contro le leggi votate nell'Ecuador e, sei anni dopo, con l'enciclica Jamdudum in Lusitania, per quelle votate in Portogallo (24 maggio 1911).
E a coronamento di un'opera efficace ed attenta, durata almeno 30 anni, non mancò un progetto di riforma dei seminari d'Italia, realizzato con un provvedimento autorevole il 16 gennaio 1906.
Dello stesso anno sono due interventi, uno sul clero ed uno sul sacramento dell'eucaristia: l'enciclica Pieni l'animo sull'educazione del giovane clero (28 luglio 1906) ed il decreto Post editum sulla comunione ai malati non digiuni (7 dicembre 1906).
Dopo avere ancora una volta manifestato la posizione della Santa Sede nei confronti del governo francese, con l'enciclica Une fois encore (6 gennaio 1907), Pio X condannò 65Leggi tutto ⇩
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Vita in Breve
Le ragioni della profonda crisi della Fede e della Chiesa, che con costernazione molti cattolici osservano e vivono oggi, sono quelle individuate con logica e realismo da san Pio X, il grande Pontefice riformatore e restauratore che guidò la Chiesa nel primo Novecento fino allo scoppio della prima Guerra mondiale. Il centenario del suo dies natalis, 20 agosto 1914 – 20 agosto 2014, viene così a cadere in un tempo in cui l’obiettivo del suo Magistero, Instaurare omnia in Christo, diventa di sorprendente attualità: come allora Papa Sarto, di fronte agli assalti secolarizzanti del liberalismo e del modernismo, vide come unico rimedio la necessità di ricapitolare ogni cosa in Cristo, così oggi le parole di San Paolo diventano insegnamento di urgente attuazione per difendere la Chiesa da quei mali fotografati, esaminati e analizzati nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis che San Pio X scrisse nel 1907 e che resta, nel Magistero petrino, uno dei documenti più importanti e più celebri di tutti i tempi. San Pio X avviò un piano santamente ambizioso e di riforma generale poiché non solo le forze nemiche, liberali e massoniche, minacciavano la Chiesa, e i semi avvelenati del liberalismo e del modernismo (termine presente per la prima volta nella Pascendi) avevano ormai attecchito con successo in alcuni ambienti “cattolici”, sia nel clero, sia fra i laici, ma si era andato formando, in particolare sotto il Pontificato di Leone XIII, un clima di stanchezza e di apatia nei Seminari, nelle parrocchie e persino nelle celebrazioni delle Santa Messe, dove erano entrati addirittura canti profani, bande musicali, arie di opere liriche… fra le azioni di Papa Sarto ci fu anche la Riforma della musica sacra: avvalendosi della consulenza di un eccellente esperto e compositore come Lorenzo Perosi (1872-1956), diede al canto gregoriano la preminenza assoluta nella Liturgia. Il Modernismo, definito nella Pascendi, «sintesi di tutte le eresie», tentava di coniugare Vangelo e positivismo, Chiesa e mondo, filosofia moderna e teologia cattolica, esso aveva visto i suoi albori in Francia, dove si era consumata la Rivoluzione che aveva abolito il diritto divino, incoronando la «dea ragione». Il motto «liberté, egalité, fraternité», che aveva prodotto il testo giuridico della Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen (26 agosto 1789), divenne, lungo i decenni, il lite motive di molti pensatori cristiani che decisero di inchinarsi al mondo, senza più condannare gli errori e senza più preservare l’integrità della dottrina della Fede. Fu proprio contro questa mentalità che San Pio X decise di combattere al fine di tutelare gli interessi di Dio e della Sposa di Cristo. Profonda Fede, amore immenso per la Chiesa, grande umiltà e grande sensibilità. Uomo dalle poche parole e dai molti fatti, era sempre teso a compiere la volontà di Dio, anche quando, chiamato ad alte mansioni, sentiva tutto il peso gravoso delle responsabilità, ma una volta accolto l’impegno, la sua preoccupazione era quella di rispettare e far rispettare leggi e principi divini, senza distrazioni verso il rispetto umano e il consenso delle opinioni del mondo. Non cercò mai i riflettori, ma soltanto la difesa dei diritti del Creatore e la salvezza delle anime. Dal campanile di Riese, dove nacque il 2 giugno 1935, passò a quelli di Salzano e di Treviso per poi arrivare a quello di San Marco a Venezia e approdare a quello di San Pietro a Roma, tuttavia rimase sempre identico a se stesso: libero da ogni passione terrena, continuò a voler vivere in povertà, come lasciò scritto nel suo Testamento: «Nato povero, vissuto povero e sicuro di morir poverissimo». Povertà per sé, ma non per Dio: non lesinava mai corredi e paramenti nella Sacra Liturgia. San Pio X si caratterizza per la sua formazione tomista, per il suo sano e disincantato realismo, per la sua tangibile pastoralità (vicina ai reali e non demagogici problemi), per il suo attaccamento alla Fede e non all’ideologia, per il suo tenere le distanze dalla politica, ma proprio per questo suo atteggiamento di pastore-missionario fu sempre stimato e rispettato in vita. Questo Pontefice, seppure con discrezione ed umiltà, come era di sua natura, è diventato interprete determinato e determinate della Chiesa militante e continua, senza rumore, ma nel proficuo e fertile silenzio di Dio, a fare scuola. Diede vita ad un’immensa opera di restaurazione con l’obiettivo di Instaurare omnia in Christo, come ebbe a scrivere nella sua enciclica programmatica E Supremi Apostolatus del 4 ottobre 1903: «Le ragioni di Dio sono le ragioni Nostre, è stabilito che ad esse saranno votate tutte le Nostre forze e la vita stessa. Perciò se qualcuno chiederà quale motto sia l’espressione della Nostra volontà, risponderemo che esso sarà sempre uno solo: “Rinnovare tutte le cose in Cristo». Agì su due fronti: da un lato riformò e dall’altro condannò. Riformare per restaurare. Dirà lo spagnolo Cardinale Rafael Merry del Val, non solo Segretario di Stato di San Pio X, ma suo braccio destro, suo confidente, suo amico d’anima: «La riforma della curia romana, la fondazione dell’istituto Biblico, l’erezione dei seminari centrali e la legislazione per una migliore formazione del clero, la nuova disciplina per la prima – per la frequente – comunione, la restaurazione della musica sacra, il suo poderoso atteggiamento contro i fatali errori del cosiddetto modernismo e la sua energica difesa della libertà della Chiesa in Francia, in Germania, in Portogallo, in Russia e altrove – per non parlare di molti atri atti di governo – basterebbero indubbiamente per additare Pio X come un grande pontefice e un eccezionale condottiero di uomini. Posso attestare che tutto questo enorme lavoro fu dovuto principalmente, e spesso elusivamente, al suo progetto e alla sua iniziativa personale. La storia non si limiterà a proclamarlo semplicemente un papa la cui “bontà” nessuno sarebbe capace di mettere in questione». Quel suo passato da cappellano a Tombolo (1858-1867), da parroco a Salzano (1867-1875), da canonico, da Direttore di Seminario, da cancelliere, da Vicario capitolare a Treviso (1875-1884), da Vescovo di Mantova (1884-1893), da Cardinale e Patriarca di Venezia (1893-1903), fu basilare per il gigantesco piano riformatore che mise in moto durante il suo Pontificato, che durò 11 anni, dal 1903 al 1914. Quando Giuseppe Sarto divenne sacerdote (18 settembre 1858), si dedicò subito e con particolare attenzione all’istruzione catechistica, considerando l’ignoranza religiosa il primo grave problema che un ministro di Dio deve affrontare. «Frequentare la Messa», diceva, «e ignorare le verità della fede sono cose che si elidono a vicenda, perché non è possibile accettare verità che non si conoscono». Diede così vita al Catechismo Maggiore (1905) e al Catechismo della dottrina cristiana (1912), maggiormente divulgato. Diede anche avvio alla formulazione di un Codice di Diritto canonico, il Codex iuris canonici, mai esistito nella Chiesa. Era un’esigenza viva e sentita da Vescovi e canonisti. E finalmente volle dare rimedio al caos delle norme, alla poca chiarezza di molte di esse, alla contraddittorietà delle une e delle altre che andavano spesso a elidersi a vicenda e alla difficoltà del reperimento di fonti certe, tanto che molte erano persino sconosciute a chi avrebbe dovuto servirsene. Il Codex, dove sono presenti spirito di Fede, intransigenza sui principi e profonda pietà, è risultato essere un grande strumento di utilità pastorale, sovvenendo così alle nuove ed inedite necessità organizzative e funzionali che si sono presentate alla Chiesa del XX secolo e, allo stesso tempo, si inserisce a pieno titolo nel programma di restaurazione cattolica che caratterizza il Pontificato di San Pio X. L’Eucaristia fu un asse portante della dottrina pastorale di Giuseppe Sarto. Già Patriarca egli raccomandava vivamente la Santa Messa quotidiana. Il decreto Sacra Tridentina Synodus (1905) verte sulla comunione frequente, mentre il decreto Quam singulari (1910) sull’anticipazione «all’età dell’uso della ragione» (7 anni) della prima comunione. Atti molto innovativi, che mettevano al centro della vita di ogni fedele, come della stessa Chiesa, Gesù Eucaristico. La ragione per cui volle anticipare la prima comunione era per rispondere all’esigenza di preservare il più possibile l’innocenza nei bambini, quell’innocenza che oggi la civiltà laica e senza Cristo fa di tutto per violare ed infrangere. Né si può tralasciare la sua ampia azione di denuncia contro le leggi anticristiane della Francia. Ricordiamo, in particolare, la Lettera all’episcopato francese Notre charge apostolique (1910), contro la concezione secolarizzata della democrazia. Uomo di profonda e riflessiva intelligenza, non aveva difficoltà alcuna a parlare con tutti, ad ascoltare tutti, ad avere un atteggiamento di carità concreta (i suoi agiografi ne hanno registrato l’immensa portata, oltre che descrivere grazie e miracoli ottenuti per sua intercessione e ancora in vita) e intellettuale con ogni individuo: traboccante di umiltà, non fu mai né altero, né superbo, neppure quando venne avviato il piano repressivo nei confronti dei modernisti, il suo cuore rimase sempre generosamente evangelico, seppure fieramente dalla parte di Cristo. Spirito né settario, né fanatico, egli fu realmente cattolico e la sua intransigenza in materia di Fede non si trasformò mai in zelo amaro. Rimase sempre padre misericordioso e curato d’anime. Sapienza e fecondità sono presenti nelle sue sedici encicliche, documenti sentiti, partecipati, vissuti e supportati da una Fede adamantina che esige di essere applicata. In esse si coglie la gioia della Buona Novella dell’uomo di Dio che dai tetti annuncia la rivelazione del Salvatore a tutte le genti e trasmette un unico insegnamento, quello di Gesù Cristo, a dispetto di chi vorrebbe silenziarlo, oppure profanarlo, oppure cambiarne il significato a proprio piacimento.
Autore: Cristina Siccardi
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Contributi importanti dati alla Chiesa e alla Fede
1) Lotta all'eresia modernista
San Pio X affrontò organicamente la questione nella sua enciclica più celebre, la Pascendi Dominici Gregis (8 settembre 1907), in cui definì il modernismo «sintesi di tutte le eresie» poiché aveva ben chiaro che questa corrente pseudocristiana, sorta verso la fine del XIX secolo con la pretesa di adattare il messaggio eterno di Cristo ai cambiamenti sociali, attaccava le fondamenta stesse della fede, inchinandosi al pensiero del mondo e strizzando l’occhio alla massoneria.Leggi tutto ⇩
2) Sintesi e diffusione della dottrina Cattolica
«Dottrina cristiana! Dottrina cristiana!», andava gridando durante le sue visite pastorali nelle varie parrocchie, in quanto cosciente che «frequentare la Messa e ignorare le verità della fede sono cose che si elidono a vicenda, perché non è possibile accettare verità che non si conoscono».
Nel 1889 partecipò al primo Congresso catechistico nazionale e nell’occasione votò a favore di un nuovo «catechismo popolare storico-dogmatico-morale redatto in domande brevi e risposte brevissime». Fu questo il fatto all’origine del testo dialogico da lui composto nel corso del suo ministero episcopale a Mantova e da cui poi derivò il famoso Catechismo Maggiore, in seguito detto Catechismo di San Pio X, la cui prima edizione - fatta di 993 domande e risposte - venne pubblicata nel terzo anno del suo pontificato (1905) e seguita da due versioni più brevi.
Fonte http://www.lanuovabq.it/it/san-pio-x-1-1-1-1Leggi tutto ⇩
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Film sul santo
Gli uomini non guardano il Cielo. Vita di San Pio X. - YouTube
Nel 1951 usciva nella sale cinematografiche un film sulla vita di Papa Pio X (al secolo Giuseppe Sarto), il primo pontefice ad essere canonizzato dopo circa cinque secoli.Leggi tutto ⇩